NinaJohnson

NEL MONDO ECLETTICO, FRANTUMATO E RI-ASSEMBLATO DI FRANCESCA DIMATTIO

March 23rd, 2023
Francesca DiMattio, Studio, ceramic, sculpture, Artist, Artist Studio

Con un melting pot senza pregiudizi l’artista newyorkese conia un nuovo alfabeto espressivo, spesso raggiunto alternando a una pratica lenta e scrupolosa un’istintiva carica tumultuosa e decostruttiva

 

Era il 1979 quando Niki de Saint Phalle iniziò il progetto per la realizzazione del Giardino dei Tarocchi di Garavacchio, nella splendida cornice di Capalbio in Toscana. L’artista francese, ispirata dalla sconfinata fantasia di Gaudì, dal parco Güell, e dai vari capolavori di architettura che aveva ripetutamente visitato in Italia, per anni dedicò anima e corpo alla realizzazione di questo mondo magico, fatto di mosaici, fantasie e feticci, dove confluivano tutte le sue fascinazioni. Un desiderio ardente la spinse a realizzare un’isola di pace che potesse accogliere parenti e amici, contrastando con una macchina per sognare una realtà che stava mutando sotto i suoi occhi e che cominciava a tralasciare l’importanza delle cose più pure, anche della bellezza. Un desiderio analogo sembra muovere l’artista Newyorkese Francesca DiMattio; lunga treccia ad adornare il capo e occhi brillanti che con medesimo spirito pioneristico tratta i suoi elementi scultorei, siano essi argille o preziosi vasi ispirati alle porcellane cinese, all’antica Grecia o grandi sculture-totem composite e antropomorfe fatte di pietre, resine o drappi dalle variegate trame. In un gioco di analisi e ri-modulazione della cultura nella sua accezione più ampia, di storia e tradizione artigianale dalle più svariate provenienze, DiMattio frantuma e ri-assembla un melting pot senza pregiudizi di alcun genere da cui nascono sempre nuove e inaspettate forme ibride. Un’accurata combinazione con la quale coniare un nuovo alfabeto espressivo, spesso raggiunto alternando a una pratica lenta e scrupolosa un’istintiva carica tumultuosa e decostruttiva. Guardando le sculture di Francesca DiMattio – benché siamo frequentemente desunte dal mondo dell’ambiente domestico – non potremmo mai definirle operazioni di mero design funzionale, ma al contrario oggetti intrisi di forti identità programmati ad attrarci oltre le loro superfici e le loro funzioni; come se, paradossalmente, custodissero qualcosa di “vivo” al loro interno e volessero irrompere con la loro presenza lo spazio e chi lo abita.

Abbiamo rivolto all’artista alcune domande che ci aiuteranno a chiarirci ancora meglio il suo eclettismo creativo.

Lei è la creatrice di mondi ibridi; fragili e complessi al contempo, lontani dal senso più aulico del classicismo, pur attingendo a piene mani nei suoi molteplici riferimenti storici, e ancora formalmente autorevoli ma dalla patina giocosa. Ci parli del suo approccio alla materia e da cosa trae ispirazione quando pensa a un nuovo lavoro.

Guardo alla storia per l’ispirazione e la sua struttura. Adoro trovare nuovi modi per incontrare ciò che è familiare, che si tratti di un piatto di Sevres o di un mosaico romano. Voglio presentare le suggestioni storiche in nuovi contesti per vederle con nuovi occhi. Percepisco ogni pezzo come una conversazione tra epoche e culture diverse. Alla ricerca di una connessione formale, sia nella tavolozza che nella trama, nel tentativo di ridurre lo spazio tra questi riferimenti molto diversi. In un pezzo un motivo di perline di una sedia Yoruba africana si trova accanto a un motivo Iznick turco. Gli elementi utilizzati non potrebbero essere più distanti, ma il ritmo del bianco vuoto e dei fiori luminosi collega questi due luoghi lontani in maniera istantanea, abbattendo la distanza e il tempo. Un motivo blu e bianco tratto da un vaso della dinastia Ming si trova accanto ad un motivo blu e bianco di un lenzuolo per definire un linguaggio visivo capace di attraversare storia e cultura.

Alterna la creazione di opere d’arte a quella di oggetti di design o di moda…c’è, tra questi, un mondo che l’affascina di più? Come governa le differenze tra questi linguaggi?

Sono sempre stata ispirata dall’ambiente domestico, dall’artigianato e dalle decorazioni, cerco di cambiare gli aggettivi che solitamente definiscono queste cose. Questo mi ha portato a lavorare con molti materiali diversi. Cerco di cambiare il modo in cui siamo abituati a vedere cose familiari e comporre le cose con un nuovo ordine. Una sedia avvolta in un piatto, un vestito avvolto in un vaso, una scultura avvolta in un piatto. Questo disorientamento ci aiuta a vedere elementi familiari in modi nuovi. Mi concedo la grande libertà di lavorare utilizzando diverse tecniche, trovo che aiuti a chiarire le mie motivazioni fondamentali. Se sto realizzando una scultura imponente o una coppa, modalità esecutive medesime accomunano la loro realizzazione.

Come sceglie un materiale per le sue creazioni e, soprattutto, la sua trama? Tecnicamente come lo lavora?

Come la vernice, l’argilla è straordinariamente elastica, quindi è ancora il materiale principale che utilizzo. Non importa il riferimento, una trama di un tappeto, una trama di perline e gioielli, o qualcosa di liscio e lucido, l’argilla può articolarlo. Poiché ci sono così tanti elementi disparati contemporaneamente, è importante che sia tutto fatto della stessa materia. Quando ho voluto realizzare mobili, tuttavia, divenne chiaro che l’argilla non avrebbe funzionato. Volevo che fossero leggeri e facili da spostare con una mano, quindi ho dovuto imparare a forgiare il legno dall’oggi al domani. Lo slancio di realizzare i miei lavori mi porta in posti nuovi dove c’è l’urgenza di imparare nuove partiche e ridefinire le modalità esecutive. Un nuovo materiale diventa quindi fondante per rimodulare la mia pratica.

La sua pratica sembra essere legata a un approccio mantrico e stratificato, …lento nella sua scrupolosa esecuzione; come convivono la natura competitiva e frenetica della città in cui ha sempre vissuto, New York, con questo suo, paziente, processo lavorativo?

Ci sono fasi molto diverse nella realizzazione del mio lavoro. Alcuni distruttive altre attente e meticolose. Voglio che ogni lavoro incarni entrambi le modalità. La scultura me lo consente grazie ai diversi passaggi coinvolti e il trattamento delle superficie che può modificare la forma stessa. Per realizzare i lavori più piccoli realizzo varie forme come vasi o oggetti per la casa, scarpe da ginnastica, sapone per i piatti o detersivo per il bucato. Dopo aver reso con cura questi elementi in argilla, li piego, li schiaccio, li taglio e li spingo l’uno contro l’altro per costruire un nuovo insieme. Dopo la prima cottura lavoro lentamente per smaltare l’intero pezzo, spesso facendo riferimento a motivi di smalto francese del XVIII secolo ricavati dalle trame di piatti od oggetti decorativi. La grinta e la bellezza di New York City sono state di grande ispirazione e hanno sicuramente contribuito a definire la mia estetica.

Riferendosi alla sua opera usa la parola “desiderio”; cosa significa per lei questo termine e qual è il desiderio che vorrebbe trasmettere nelle sue opere o ancora più genericamente nel suo percorso artistico?

Sono interessata a far crollare le gerarchie, quindi penso molto al desiderio. Comincio con gli elementi del desiderio, che si tratti di un vaso rococò dorato, un’antica Venere greca o una superficie ingioiellata estratta di una corona romana, trovo il modo di mettere questi elementi intoccabili in conversazione con il quotidiano. In ogni pezzo convivono innumerevoli riferimenti storici come contemporanei. Mi fido del mio istinto, del mio intuitivo per trovare queste connessioni e modularle osservando il colore, il ritmo e la consistenza dei materiali. Nel comporre, metto in discussione le nozioni di valore e di bellezza. Preferisco l’instabilità e il flusso alle nozioni fisse.

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